GIANNI CUSUMANO - AUTORE APPESO -

venerdì 23 settembre 2011

A proposito di cani

La fine di una passione

assomiglia pressappoco

a un uomo in mutande e maglietta

sdraiato sul divano

che piange

e tossisce

allo stesso tempo

aspettando un buon motivo

per alzarsi

e farsi una doccia.

sabato 9 luglio 2011

Iperbole svogliata


Il cuore della poetica in un tappo di plastica che imita il sughero

ed esce allo scoperto nudo come un verme

sbattuto in faccia all’afosa arroganza tutta italica

di una sera di mezza estate.

Il cuore della poetica

che si lascia galleggiare nell’aria umida

masticata da un ventilatore da quattro soldi

guardando fuori da una finestra di una casa non sua,

che nuota alla volta di vite tenute al sicuro

- al sicuro da tutto -

vite concluse anche per oggi dietro serrande di legno masticate dai tarli

e insinuate da blatte vacanziere

venute fuori per rendere omaggio alla luna del Sahara

- ovunque sia -

grasso satellite pallido

che si riflette dentro occhi scuri stipati in massa dentro navi pronte al naufragio,

occhi bagnati dal sangue che gridano “TERRA!” guardando 3 metri più in basso.

Cosa è successo?

Cosa è successo?

E passando all’ennesimo bicchiere opaco

che ti raccolgo

stringendoti in un pugno

e prima che sorga il sole

ti porterò via

giù

a marcire come il resto

in un’iperbole svogliata priva di senso

io

tu

e quel che resta di un fegato appassionato.

martedì 10 maggio 2011

La città


La città urla,

la città sanguina,

la città abbaia.


La città cinguetta motivetti indiani

acquattata nell’ombra,

la città aspetta.


Tu rincorri parole,

le parole ti sfuggono,

tu costruisci carceri sicure

ma questo non ti rassicura.


Tu hai un debito con l’uomo della birra,

ti sdebiti bevendolo a colazione

e a pranzo

e a cena,

tu sei un uomo con la merda fino al collo.


La città si chiede cosa succede,

rantola,

squittisce nei vicoli sparsi di luce,

si riflette negli occhi del vizio

di bimbi tirati a lucido

come sportelli di auto

extralusso.


Ti fermenta dentro,

la città,

ulula al tuo cuore

come un lupo aggrappato

alla notte.

La città prega e si fa benedire,

la città devota,

la città a credito,

la città trascinata dai capelli

che batte sui tasti di un marciapiede sordido

che tu chiami “ispirazione”.


La città.

Questa dannata città.


Possa Iddio passarci il resto dell’eternità.

sabato 7 maggio 2011

Fossi un poeta


Fossi un poeta

comincerei a fare i conti

con quello che ancora non marcisce

dentro al frigo,

piuttosto che dire la mia

sulla questione politica del momento.


Fossi un poeta

preferirei incollare gli occhi su un muro bianco

e immaginare il mondo a modo mio,

piuttosto che guardarlo annaspare

roteando

per le sponde dell’universo.


Fossi un poeta

farei in modo di trattenere la merda

dentro allo stomaco

quanto basta

per provare ancora qualcosa di vero

e rivelatore.


Fossi un poeta

baderei al mio bicchiere

come fosse il più prediletto dei figli

e farei in modo

di non fargli mancare mai nulla.

Mai.


Fossi un poeta

la smetterei una buona volta di atteggiarmi a poeta

e penserei invece

ad annusarmi la pelle delle dita

per capire che odore fa l’umanità

quando fallisce.


Fossi un poeta

troverei il tempo di lavare i calzini sporchi

e di strizzar la via la merda dalle mutande;

di gettar via le bottiglie andate

e lasciar cadere la fronte sulla mano,

in segno di resa.


E via via,

dimenticare.

giovedì 24 marzo 2011

Anima di cuoio


Preparo il foglio

e la dimensione delle lettere.


Preparo un’altra sigaretta

e preparo il vino, nel bicchiere.


Preparo il mio senso della disciplina

e lo trattengo tra le dita,

sui polpastrelli

badando bene che non sfugga.


Poi sollevo il bicchiere

respirandone lo spirito

e non mi resta altro da fare

che chiudere gli occhi

e seguire questa piccola zanzara grigia e impertinente

che disegna cerchi purpurei nell’aria

e dice di chiamarsi

Brahms.


Dice di avere una verità in dono, Brahms.


“Per me?”

“Per te, stupido vigliacco ubriacone.”


Brahms si lancia in una piroetta

che disegna un cerchio perfetto

nell’indifferenza dell’universo.

Poi dice:

“L’ultimo poeta che il mondo abbia mai conosciuto

sfida la morte col sorriso

nel buio di una cella umida,

mangiando nient’altro che le unghie delle sue stesse mani

e mai rimpiangerà

l’attimo in cui non ebbe nulla da rendere al mercato degli uomini

in cambio di una busta di spesa

se non la sua stessa anima di cuoio”.


Allora riaprii gli occhi

e schiacciai l’ultima cicca

prima di addormentarmi.


Mentre tutto continua ad andare.

mercoledì 23 marzo 2011

DRITTI A NORD, CAPITANO!


Raccolsi tabacco, cartine e un litro di parole

e salpammo prima dell’ultima alba di fuoco,

quando i violini glissavano su note minori

e cani sonnecchianti tendevano i collari

per pisciare e rendere l’anima

a una vecchia luna stanca e demotivata.


Legammo le carni all’albero maestro

e tagliammo le onde nere

risalendo le maree

proteggendoci

abbracciandoci

e respirando null’altro che l’odore dei nostri capelli,

mentre l’orizzonte si dissolveva

come amore all’alba,

si dissolveva alle nostre spalle

e tutte le cose rinascevano al buio,

nude e semplici,

così come erano sempre state,

così come noi eravamo.


E non c’era null’altro da sapere,

galleggiando ubriachi su quella pozza scura,

come cenere che annega nel vino,

se non che la gomma che riveste il mondo

quando brucia puzza e appesta l’aria,

e che gli uccelli d’acciaio non esistono

e se esistessero

non sgancerebbero bombe fluorescenti

giù dal culo.


Lasciammo andare gli spiriti al vento,

e danzammo,

e danzammo,

e cantammo perfino qualcosa, scambiandoci gli occhi,

ma solo nella nostra immaginazione,

trattenendo il respiro,

delicatamente

per ore,

per ore e ore

e solo allora, forse,

sorridemmo appagati.


Galleggiammo così per mesi,

per anni,

per secoli interi

senza nulla dirci,

senza nulla chiederci,

bastandoci e niente più.


DRITTI A NORD, CAPITANO!,

DRITTI A NORD

avanti verso l’azzurro,

dovunque sia

il colore non importa.

Ma non dir nulla, ti prego,

non dir nulla.

Non ora.

È ancora troppo presto.

Gli uccelli d’acciaio potrebbero davvero svegliarsi

e allora potremmo dover rendere l’anima alla luna

e io non sento ancora il bisogno di pisciare.


Così continua a guardare avanti,

sù, mio capitano!

Resisti e guarda avanti,

avanti,

avanti,

ché i violini continuano a trillare.


Non li senti?

mercoledì 9 febbraio 2011

Fallo


Ora che hai avuto quello che hai preso

e che mastichi di nascosto

anche tu la tua parte;

ora che te lo sei fatto rizzare

pensando al visone

della donna che ami scopare;

ora che hai asciugato il tuo piccolo

flaccido

culo

e usato il filo interdentale;

ora che stai per ascoltare

il prossimo dibattito elettorale

e cambiare, di nuovo, canale;

ora che hai tirato su le coperte

e strofini i piedi per scaldarti

pregando dio per un sonno migliore;

ora che hai fatto tutto questo

e non hai di che lamentare;

ora che il gaudio del dì

e lì lì per arrivare

e l’alba rosea ti sta per carezzare;

ora,

soltanto ora

una cosa ancora

ti resta da fare:

FOTTITI,

e

VAFFANCULO!