Faceva freddo,
un freddo cane
mentre guardavo la saracinesca abbassata
del vinaio a buon mercato
tornando verso casa
giù
per le scale di una strada di piscio
incrociando lo sguardo
di uomini assiderati
barricati sui tetti
della loro piccola fabbrica fallita,
tutti a sbalordirsi per quel grosso materasso di gomma gialla
che qualcuno
più giù
s’affrettava a gonfiare.
Faceva freddo,
un freddo cane
mentre le porte del supermercato
a buon mercato
erano sigillate
e una folla estranea
si radunava tutt’intorno
tremolante,
ignorante,
e qualcuno s’aggirava armato di cinepresa
e qualcun’altro si sfregava le mani
ringraziando Iddio nei cieli
e allora chiesi: “Che succede?”
ma era chiaro,
così chiaro
che non mi sconvolsi per una rapina finita male
ché alla fine un altro povero Cristo s’era guadagnato un pasto
al caldo del fresco
senza nulla togliere al rimpasto parlamentare.
Faceva freddo,
un freddo cane
quando le porte si riaprirono
e potei finalmente entrare
facendomi largo tra promesse di pranzi
e cene abbondanti,
tra luccichii di camere
e appartamenti andati a male,
respirando l’odore
del difetto abbiente
trovai le mie birre in offerta
risolute e solide e gelide
proprio come me l’aspettavo
e non esitai un minuto
a estrarre la mia carta fedeltà,
nemmeno di fronte
a una cassiera in lacrime.
Faceva freddo,
un freddo cane
che nemmeno l’alcol t’aiuta
figurarsi il cielo.
Figurarsi il resto.
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