GIANNI CUSUMANO - AUTORE APPESO -

giovedì 24 marzo 2011

Anima di cuoio


Preparo il foglio

e la dimensione delle lettere.


Preparo un’altra sigaretta

e preparo il vino, nel bicchiere.


Preparo il mio senso della disciplina

e lo trattengo tra le dita,

sui polpastrelli

badando bene che non sfugga.


Poi sollevo il bicchiere

respirandone lo spirito

e non mi resta altro da fare

che chiudere gli occhi

e seguire questa piccola zanzara grigia e impertinente

che disegna cerchi purpurei nell’aria

e dice di chiamarsi

Brahms.


Dice di avere una verità in dono, Brahms.


“Per me?”

“Per te, stupido vigliacco ubriacone.”


Brahms si lancia in una piroetta

che disegna un cerchio perfetto

nell’indifferenza dell’universo.

Poi dice:

“L’ultimo poeta che il mondo abbia mai conosciuto

sfida la morte col sorriso

nel buio di una cella umida,

mangiando nient’altro che le unghie delle sue stesse mani

e mai rimpiangerà

l’attimo in cui non ebbe nulla da rendere al mercato degli uomini

in cambio di una busta di spesa

se non la sua stessa anima di cuoio”.


Allora riaprii gli occhi

e schiacciai l’ultima cicca

prima di addormentarmi.


Mentre tutto continua ad andare.

mercoledì 23 marzo 2011

DRITTI A NORD, CAPITANO!


Raccolsi tabacco, cartine e un litro di parole

e salpammo prima dell’ultima alba di fuoco,

quando i violini glissavano su note minori

e cani sonnecchianti tendevano i collari

per pisciare e rendere l’anima

a una vecchia luna stanca e demotivata.


Legammo le carni all’albero maestro

e tagliammo le onde nere

risalendo le maree

proteggendoci

abbracciandoci

e respirando null’altro che l’odore dei nostri capelli,

mentre l’orizzonte si dissolveva

come amore all’alba,

si dissolveva alle nostre spalle

e tutte le cose rinascevano al buio,

nude e semplici,

così come erano sempre state,

così come noi eravamo.


E non c’era null’altro da sapere,

galleggiando ubriachi su quella pozza scura,

come cenere che annega nel vino,

se non che la gomma che riveste il mondo

quando brucia puzza e appesta l’aria,

e che gli uccelli d’acciaio non esistono

e se esistessero

non sgancerebbero bombe fluorescenti

giù dal culo.


Lasciammo andare gli spiriti al vento,

e danzammo,

e danzammo,

e cantammo perfino qualcosa, scambiandoci gli occhi,

ma solo nella nostra immaginazione,

trattenendo il respiro,

delicatamente

per ore,

per ore e ore

e solo allora, forse,

sorridemmo appagati.


Galleggiammo così per mesi,

per anni,

per secoli interi

senza nulla dirci,

senza nulla chiederci,

bastandoci e niente più.


DRITTI A NORD, CAPITANO!,

DRITTI A NORD

avanti verso l’azzurro,

dovunque sia

il colore non importa.

Ma non dir nulla, ti prego,

non dir nulla.

Non ora.

È ancora troppo presto.

Gli uccelli d’acciaio potrebbero davvero svegliarsi

e allora potremmo dover rendere l’anima alla luna

e io non sento ancora il bisogno di pisciare.


Così continua a guardare avanti,

sù, mio capitano!

Resisti e guarda avanti,

avanti,

avanti,

ché i violini continuano a trillare.


Non li senti?