Raccolsi tabacco, cartine e un litro di parole
e salpammo prima dell’ultima alba di fuoco,
quando i violini glissavano su note minori
e cani sonnecchianti tendevano i collari
per pisciare e rendere l’anima
a una vecchia luna stanca e demotivata.
Legammo le carni all’albero maestro
e tagliammo le onde nere
risalendo le maree
proteggendoci
abbracciandoci
e respirando null’altro che l’odore dei nostri capelli,
mentre l’orizzonte si dissolveva
come amore all’alba,
si dissolveva alle nostre spalle
e tutte le cose rinascevano al buio,
nude e semplici,
così come erano sempre state,
così come noi eravamo.
E non c’era null’altro da sapere,
galleggiando ubriachi su quella pozza scura,
come cenere che annega nel vino,
se non che la gomma che riveste il mondo
quando brucia puzza e appesta l’aria,
e che gli uccelli d’acciaio non esistono
e se esistessero
non sgancerebbero bombe fluorescenti
giù dal culo.
Lasciammo andare gli spiriti al vento,
e danzammo,
e danzammo,
e cantammo perfino qualcosa, scambiandoci gli occhi,
ma solo nella nostra immaginazione,
trattenendo il respiro,
delicatamente
per ore,
per ore e ore
e solo allora, forse,
sorridemmo appagati.
Galleggiammo così per mesi,
per anni,
per secoli interi
senza nulla dirci,
senza nulla chiederci,
bastandoci e niente più.
DRITTI A NORD, CAPITANO!,
DRITTI A NORD
avanti verso l’azzurro,
dovunque sia
il colore non importa.
Ma non dir nulla, ti prego,
non dir nulla.
Non ora.
È ancora troppo presto.
Gli uccelli d’acciaio potrebbero davvero svegliarsi
e allora potremmo dover rendere l’anima alla luna
e io non sento ancora il bisogno di pisciare.
Così continua a guardare avanti,
sù, mio capitano!
Resisti e guarda avanti,
avanti,
avanti,
ché i violini continuano a trillare.
Non li senti?
Nessun commento:
Posta un commento