GIANNI CUSUMANO - AUTORE APPESO -

mercoledì 9 febbraio 2011

Un augurio sincero


Mi piacerebbe dirti,

guardandoti stringere quella moneta tra le dita

e abbracciare quei brick di vino

più forte dei tuoi figli

mentre appesti il mondo di sconfitta

con quel che resta del tuo fiato vittorioso,

mi piacerebbe augurarti

di tornare a casa sano e salvo anche stasera

con la pelle ispida,

il sangue raggelato,

il culo stretto,

da solo,

povero ma pur sempre vivo

e stenderti ovunque tu voglia

con chiunque tu voglia,

e addormentarti

ascoltando l’ultima ora della notte

piovere dal cielo

e scenderti addosso

rabbiosa,

furente,

appassionata,

e sentirla carezzarti lo stomaco,

carezzarti le palle,

fartelo rizzare fino a ripulirti l’anima

e alla fine guardarla regalarti un sorriso idiota,

immaginandola come la poesia

che ti auguri di sognare

e mai di scordare.

domenica 16 gennaio 2011

Ancora una


Il tempo di non impazzire,

raccogli le ossa

gli spiccioli

la spazzatura

e ti fai largo nel mondo

come la prima volta,

come ieri,

come l’avevi immaginato,

come sempre.


Il tempo di una birra,

forse due

magari tre

quattro sarebbe meglio,

aspetti il tuo resto

saluti il barista

e trovi un angolo di strada libero

per sederti

e guardare la vita brulicare

e galleggiare

e svuotarsi lentamente

come l’ultima bottiglia.


Il tempo di una sigaretta

magari due,

magari tre

per sentirti l’anima esplodere in alto

nel cielo,

un sussulto vitale di energia

che bombarda l’aria,

le nuvole,

le stelle,

che feconda la luna

e i venti dell’universo,

che danza saltellando

di luce blu infiammata

tra le mani sporche di vita

di un induista senza casa.


Il tempo di una pisciata,

forse due,

meglio tre

e poi schivare il cristianesimo

e i messaggi di dio su carta patinata

e tenere il passo fermo,

uno dopo l’altro,

dritto verso la meta,

dritto verso casa,

dritto verso il chiosco prima di casa,

ringraziando dal profondo

del tuo sacro cuore svuotato

tutti i coraggiosi,

i santi,

gli empi e gli ubriaconi

del passato,

del presente

e del futuro,

tutti gli uomini senza fede

seduti ai tavoli di bar senza nome,

grazie,

grazie,

GRAZIE.


Il tempo di stapparne ancora una,

ancora una,

ancora una

e poi nuotare

nuotare,

nuotare…


mercoledì 22 dicembre 2010

Scimmie a intermittenza



L'umanità degli uomini

è qualcosa che va e viene

a intermittenza

proprio come le luci di natale

che riempiono la strada

stasera,

occhi multicolore

che lampeggiano a festa

innalzandosi scintillando

sul più perverso e brutale

dei circhi mai esistito,

migliaia di scimmie isteriche

depilate a dovere

che battagliano tra loro

colpendosi a morte

con monete oleose,

che improvvisando danze epilettiche

consumano la loro ultima vittoria

sugli stomaci affamati

dell'intero universo,

tutte eleganti e in prima linea

si affrettano a rincorrere la benevolenza

di un dio a forma di banana

per l'ultimo, imminente avvento

in alta definizione,

e non resta nient'altro che mettersi comodi

e arrendersi

alla più lunga,

la più bestiale e insensata,

la più sporca

delle guerre

all'ultimo scontrino.


L'umanità degli uomini

è qualcosa che va e viene

a intermittenza

proprio come le luci di natale

che riempiono la strada

stasera,

mentre la mia miniera d'amore

è stesa sul letto

e il mio spirito ubriaco

s' allunga,

stanco e senza peso,

sul corpo opaco

di questa ennesima bottiglia vuota.


Lo sanno tutti

a dispetto di tutto.



lunedì 20 dicembre 2010

Per scrivere qualcosa di sensato


Un bicchiere capiente

75 cl di vino

12 grammi di trinciato inglese

Un pacco di cartine

Un accendino carico

Un ampio posacenere

Un frigorifero

6 birre

Mahler

Niente con cui scaldarsi

30 cent nel portafogli

Una personalità disturbata

Uno scarico funzionante

venerdì 17 dicembre 2010

Gomma Gialla


Faceva freddo,

un freddo cane

mentre guardavo la saracinesca abbassata

del vinaio a buon mercato

tornando verso casa

giù

per le scale di una strada di piscio

incrociando lo sguardo

di uomini assiderati

barricati sui tetti

della loro piccola fabbrica fallita,

tutti a sbalordirsi per quel grosso materasso di gomma gialla

che qualcuno

più giù

s’affrettava a gonfiare.


Faceva freddo,

un freddo cane

mentre le porte del supermercato

a buon mercato

erano sigillate

e una folla estranea

si radunava tutt’intorno

tremolante,

ignorante,

e qualcuno s’aggirava armato di cinepresa

e qualcun’altro si sfregava le mani

ringraziando Iddio nei cieli

e allora chiesi: “Che succede?”

ma era chiaro,

così chiaro

che non mi sconvolsi per una rapina finita male

ché alla fine un altro povero Cristo s’era guadagnato un pasto

al caldo del fresco

senza nulla togliere al rimpasto parlamentare.


Faceva freddo,

un freddo cane

quando le porte si riaprirono

e potei finalmente entrare

facendomi largo tra promesse di pranzi

e cene abbondanti,

tra luccichii di camere

e appartamenti andati a male,

respirando l’odore

del difetto abbiente

trovai le mie birre in offerta

risolute e solide e gelide

proprio come me l’aspettavo

e non esitai un minuto

a estrarre la mia carta fedeltà,

nemmeno di fronte

a una cassiera in lacrime.


Faceva freddo,

un freddo cane

che nemmeno l’alcol t’aiuta

figurarsi il cielo.

Figurarsi il resto.

lunedì 29 novembre 2010

Perché non siete un cazzo


Mentre c’era soltanto da avere un po’ di palle,

mentre giocavamo a fare i poeti,

mentre fingevamo d’esser vivi,

mentre non ce ne importava un cazzo

e ritiravamo le mani in tasca

nascondendoci agli occhi dei barboni,

mentre ne avevamo abbastanza

prima di addormentarci, beati,

mentre contavamo gli spiccioli

aspettando la rivoluzione,

mentre correvamo

senza avanzare d’un passo,

mentre sprecavamo fiato a pieni polmoni,

mentre scopavamo

pensando d’essere i migliori,

mentre ci sembrava di vederci chiaro,

mentre ci nascondevamo,

mentre non ce n’era per nessuno,

mentre il cesso s’allagava e le blatte avanzavano,

mentre piangevamo

e impazzivamo

e bestemmiavamo,

mentre amavamo,

mentre tutto il resto

era il resto che non c’aspettavamo,

mentre le parole non valevano un cazzo,

mentre l’acqua scorreva giù dal cesso

e davamo fiato alle trombe

annusando il puzzo di cenere,

mentre avevamo ancora abbastanza spazio nei polmoni,

mentre gli artigli degli anni

non mollavano la presa

e di bere neanche a parlarne,

mentre progettavamo tane per i vermi

senza guardare mai all’ora,

mentre facevamo questo e altro,

altro,

e altro ancora,

mentre facevamo tutto questo e altro,

altro

e altro ancora

avrei voluto vederti un’ultima volta

volare giù dal mondo

e sbatterci contro

ché, alla fin fine,

tu sei tu

e il resto

non è proprio un cazzo.

domenica 28 novembre 2010

Il coinquilino


Quando mi risvegliai,

con la gola secca per il troppo bere

e la lingua intorpidita per il troppo fumare,

eravamo ancora noi,

io e il buio,

a dividerci l’affitto.