GIANNI CUSUMANO - AUTORE APPESO -

martedì 1 dicembre 2009

Una sera allo ZO

Cronache dal vulcano
Una sera allo ZO


Cinque anni fa guardavo la torre dello ZO esattamente da questa posizione. Appoggiato con la schiena alla cancellata del cortile esterno, con un bicchiere di vino in una mano e una sigaretta scroccata nell’altra. Da quando mi trovo in questa città temo per la mia vita. Esco poco, quasi solo per procurarmi del cibo. Quando cammino per strada mi sembra di essere pedinato. Vedo squilibrati sanguinari pronti a saltarmi addosso praticamente a ogni angolo. Questa storia va avanti da quasi due settimane, in pratica dal giorno in cui mi sono trasferito. Mi sento minacciato. Mangio da più di quarantotto ore uova fritte a pranzo e la cena probabilmente è solo un’allucinazione. Dormo male. Fumo parecchio. Hascisch per lo più, e di quello che addormenterebbe un elefante in calore. Capita anche dell’erba ogni tanto. Oggi ho avuto il mio primo momento di lucidità prolungata post risveglio degli ultimi quindici giorni. Ho anche il visto il sole. Dalla mia scatola è difficile vederlo. Mentre mi lavavo i denti ho pensato che forse era il caso di mettere la testa fuori di casa o avrei finito con l’accoltellare il frigorifero. Corpi vibranti, sangue caldo, di questo avevo bisogno. Esseri intelligenti dotati di pollici opponibili. Persone. Ricominciare di nuovo mi spaventa più dei nuovi inizi. Ecco perché ho deciso di non fare amicizie ma conoscenze. Conosco questo tipo che abita nel mio stesso appartamento. Mi ricorda vagamente Pisellino, il figliastro di Braccio di Ferro. Solo più lungo e smilzo. Sembra lo schizzo di bava di uno schizofrenico. Ma è lui che mi mantiene lo sballo. Coi problemi emotivi che credo di avere l’idea di cercare un pusher da queste parti non mi sfiora nemmeno. Non ora. Così gli dico “Mario, il frigorifero mi odia. Devo uscire da questa casa”, e lui mi propone Don Letts. Suona stasera allo Zo. “Ottima idea”, dico. “Dio ti perdoni”, dico. Arriviamo allo ZO in Vespa. Durante il tragitto penso all’effetto che potrebbe avere schiantarsi col muso su quelle strade di pietra lavica. Mario davanti mi dice di ricordare il percorso così, se voglio, un giorno potrò tornarci da solo. Mento e gli dico di si. All’entrata del posto uno scheletro col giubbotto di pelle nera mi perquisisce le tasche. Poi imbocchiamo per un corridoio dove una piccola africana dietro a un banco mi chiede un pegno di sette euro. Comincio a pensare che se avessi voluto vedere gente avrei anche potuto accendere la Tv tranquillamente sdraiato nel mio letto. “Prendi i miei soldi. Ma non farti più vedere per il resto della serata.” Più avanti c’è ad attendermi una massa di carne informe che blocca l’entrata della sala concerti. Vedo solo le sue grandi mani prendere le mie e marchiarle con un timbro. Poi il buco dell’obbiettivo si allarga e finalmente entro. I Boilers hanno attaccato a suonare da poco. Di loro so solo che la scorsa settimana hanno suonato a Reggio Calabria e che da piccoli hanno ascoltato parecchio gli Stooges. Che sono di Catania e ci tengono a stirare bene i vestiti prima di suonare. Mi faccio strada tra la gente, un centinaio di potenziali conoscenti che sembra divertirsi. E in effetti non mentono. I Boilers sanno quello che fanno e lo fanno bene. Sono precisi, hanno melodie interessanti, il basso e la batteria fanno anche muovere qualche culo. Divertono la gente e sorridono parecchio. L’acustica della sala poi ha chiuso il cerchio. Il problema che noto nei gruppi come il loro, però, è che non sudano abbastanza. Se c’è qualcosa che manca qui stasera è proprio l’odore rancido della passione. Ma forse è perché me ne sto con lo sguardo basso da quando sono entrato, annusando l’odore dei miei piedi. Eppure non sono mai stato uno egocentrico. Dio santissimo, riprenditi! Mi infilo nella zona bar e ordino un rum e coca. Poi un bicchiere di nero d’Avola. Esco fuori in cortile, mostro il marchio sulla mano ai gorilla appostati alle porte e raggiungo Mario. Mi presenta un po’ di gente, per aiutarmi a socializzare. Dico “Ciao” a tutti e poi mi passano da fumare. Di nuovo corrotto. Conosco un ragazzo che cerca un chitarrista. Sembra promettente. Parla di Fugazi e Minor Threat come fosse l’ultimo devoto del post punk ancora in vita. Gloria a te uomo! Poi Mario squittisce qualcosa. La sua hostess sbarca domattina presto e lui deve essere all’aeroporto in tempo, altrimenti quella s’incazza. “D’accordo, scappiamo da questo Zo. Il timbro sulla mano sta quasi scomparendo. Non voglio trovarmi qui quando quei primati lo scopriranno.”
Nonostante l’età la Vespa ce la fa a riportarci a casa. Finisce che di Don Letts ne so esattamente quanto prima. Cioè nulla. Solo che era un dj che nei ’70 aveva un negozio che firmava i punk. Passava musica nei locali per sbarcare il lunario, roba mai sentita prima: dub, trance, root. Faceva impazzire i ragazzi. I Clash gli hanno anche dedicato un disco: Black Market Cash. Fa anche il produttore. Uno interessante insomma. Uno da sette euro.

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