GIANNI CUSUMANO - AUTORE APPESO -

mercoledì 28 luglio 2010

Post it


C'è solo un problema con le poesie:
sembrano brevi.
Cosicché tutti
pensano che sia facile
metter su
una parola dietro l'altra,
regalandoci
inferni di merda
di cui avremmo
volentieri
fatto a meno.

La prossima volta,
pensaci.

martedì 20 luglio 2010

Dal 1859


Svegliarmi non mi è mai interessato,
eppure capita ogni giorno
e non posso farci nulla.
Mi costringo ad alzarmi da letto
e andare in cucina a preparare un caffè,
fingendo di vivere su un foglio bianco
tutto da scrivere.

Vado al cesso
sperando di restituirgli quel che merita.
Mi siedo,come tutti,
e aspetto.

Come
chi aspetta che la sveglia non suoni,
chi aspetta di andare a morire sul lavoro,
chi aspetta di accompagnare i figli a scuola,
chi di leggere il giornale,
chi aspetta la colazione,
chi la promozione,
chi una buona occasione.

Mi siedo e aspetto,
come
chi aspetta una telefonata,
chi il matrimonio,
chi il divorzio,
chi aspetta un posto in ospedale,
chi il suo piano in ascensore.

Aspetto
come
chi aspetta la prossima offerta,
chi la prossima canzone,
chi la rivoluzione.

Ogni giorno mi siedo e aspetto,
come
chi aspetta di nascere,
e chi, finalmente,
di morire.

Svegliarmi non mi è mai interessato,
eppure capita ogni giorno
e non posso farci nulla.
Mi costringo ad alzarmi da letto,
a andare in cucina a prepararmi un caffè.

Vado al cesso,
sperando di restituirgli quel che merita.
Poi mi siedo
e, come tutti,
aspetto.

mercoledì 14 luglio 2010

Muco e Sperma


Scavalcammo il cancello
di Pietro
per pisciarci dentro
e
andammo via
senza salutare.

Piegammo le pareti
del tempo
per avere più spazio
e
godemmo sfiniti
senza pagare.

Ripulimmo le sindoni
delle madri
dal muco e dal seme,
facendoci avanti
sorridenti e fieri.

Sorridenti e fieri
risalimmo i fiumi
dei raccomandati
e dei corrotti
e
morimmo in bocca all'orso.

Morimmo
sorridenti e fieri.

Sorridenti e fieri
morimmo.

martedì 29 giugno 2010

Zanzare da compagnia


Mi sono messo comodo, stasera o signore,
senza chiederti il permesso.

Accendo una sigaretta
e mi godo il silenzio,
mi godo il vento e la birra,
mi godo il buio del mondo,
mi godo il riposo degli uccelli
e degli uomini
o signore,
senza chiederti il permesso.

Dovrei trovare la forza e alzarmi da letto,
preparare un caffè,
dimenticare il bruciore al culo e,
MAGARI,
andare al cesso a cacare.

Dovrei lavarmi le mani,
ricordare di buttare via l'immondizia,
comprare del cibo,
mantenermi in vita,
darmi da fare
e lavorare sodo.

Dovrei risparmiare quanto basta
per stringere la mano
di mia moglie
e aiutarla a spingere fuori
il nostro amore viscido
e sporco di sangue,
evitando di vomitare.

Dovrei svegliarmi presto
e provare a radermi
senza tagliarmi;
badare d'aver preso le chiavi,
le bollette,
la lista della spesa,
le ricette del dottore,
dire in fretta “Ti amo”
e poi
mettere in moto
e accompagnare il ragazzo
al suo primo giorno di scuola.

Anno dopo anno
dovrei fingermi orgoglioso
del suo ottimo rendimento
mentre la pubblica istruzione
gli spappola il cervello,
e dopo,
molto dopo
augurargli di finire meglio del padre
e far finta
che la torta sia stata di mio gradimento
nonostante la candelina
N.18
si sia sciolta proprio sulla fetta
che toccava a me.

Dovrei affrettarmi
e andare a votare,
guardarmi meno allo specchio
e forse
tenere la barba,
perché il grigio
mi fa più saggio.

Dovrei tentare di fare l'amore,
non farmi seppellire da un orgasmo,
tenere d'occhio i risparmi
e non viaggiare troppo:
mai sarebbe meglio.

Ancora,
dovrei smetterla
di piangere ai funerali dei vecchi,
smetterla di fumare e di bere,
smetterla col troppo sale
e smetterla anche con l'amore.

Dovrei smetterla con
l'ostinazione dei vivi
e lasciarmi finalmente andare,
annegare placidamente nel letto
mentre indovino
la risposta esatta
al quiz in TV.

La mia personale scalata al milione.

Dovrei fare tutto questo
ma stasera
mi sono messo comodo, o signore,
senza chiederti il permesso.

Aspetto le parole.

Ci sono il vento e le zanzare
a tenermi compagnia.
E anche se le parole
non arriveranno,
poco importa.
Questa sedia
sembra tanto
più comoda.

giovedì 17 giugno 2010

Una buona poesia


Una cattiva poesia
non dorme nel tuo letto,
non ti asciuga il sudore dalle spalle
col respiro
dopo una notte umida
prestata alle fiamme.

Una cattiva poesia
non ti scava negli occhi,
non geme cavalcandoti l'anima,
non ti allunga un braccio sul collo
per proteggerti
dall'inferno.

Una cattiva poesia
non è il leone che ti danza sullo stomaco,
non è la tigre che ti artiglia le spalle,
non ha l'odore selvatico
della vita
tra i capelli.

Una cattiva poesia
non ti offre da bere,
non ti paga da mangiare,
non ti riporta a casa sano e salvo
e poi ti dice
“TI AMO”.

Una cattiva poesia
non da soldi in prestito
e parla la lingua degli imperi,
ascolta cattiva musica
e spera sempre che tu abbia
un buon lavoro.

Una cattiva poesia
non ha il sorriso dell'eternità dorata tra i denti,
non ha mai letto Kerouac
né mai letto Hemingway,
e non alleggerisce il carico di sconfitte
che porti sulle spalle.

Una cattiva poesia
non aspetta che sia tu il primo a parlare,
se ne intende di misure
e preferisce le rime alle parole,
una cattiva poesia
da tutto per scontato.

Una cattiva poesia
ha sempre fretta di andare,
si spegne con lo schermo del computer,
scivola via con la merda nel cesso,
una cattiva poesia
secca come un preservativo al sole.

Una cattiva poesia
è sulla bocca di tutti,
è una puttana pesta incatenata a un letto,
è un'inserzione sporca sul giornale della domenica,
è il premio della critica
sullo scaffale delle offerte.

Una cattiva poesia
non ti asciuga la gola,
non ti secca la lingua,
non ti rende povero,
una cattiva poesia
non ti buca il fegato.

Una cattiva poesia
non è un incubo,
non è una corda che trema sul vuoto,
è una rassicurazione,
una cattiva poesia
è un conto in banca.

Una buona poesia
è un cuscino di pietre
su un letto di spilli,
una buona poesia
non sfiora l'anima,
colpisce a morte e basta.

Una cattiva poesia
non è una buona poesia.

Una cattiva poesia
è roba da poeti.

mercoledì 26 maggio 2010

Birra e uova a sufficienza fino alle prossime elezioni


Pazienta.
Finisci prima il vino.
Possibile che tu abbia
già svuotato due bottiglie?
Sii ragionevole,
pazienta.
C'è ancora una sigaretta
che ti brucia tra le dita.
Possibile che tu abbia
già finito tutto il tabacco?
La musica sta ancora suonando
e dopo quella
ti resta ben poco.
Perché non ti decidi a pazientare?
Hai fretta di sapere
come va a finire il film
anche se c'è ancora la pubblicità?
Ma la pubblicità non finirà mai.

Quindi ti conviene pazientare
e dare sfogo al culo
più forte che puoi.

Pazienta.
Le motivazioni sono come le parole,
non le trovi già scritte e pronte all'uso.
Questo lo capisci?
Annusati ancora un po' le dita
e fatti trovare pronto
per il prossimo notiziario.
Ti conviene pazientare,
perché saper grattar bene
una striscia di polvere argentata
non fa di te un vincitore.
Anche questo lo capisci,
non è vero?
Quindi pazienta.
Ci sono birre e uova
a sufficienza in frigo
fino alle prossime elezioni.
Non ti basta?
Non avere fretta
perché potresti finire
a scopare una donna
che sa quanto fai schifo
e non manca mai di dirtelo
e per questo ci farai un figlio
e alla fine ti sposerà.
Pazienta.
Pazienta.
Pazienta.
Sii paziente.

Perché un giorno
ti ritroverai a elemosinare pompini
al tuo capo ufficio,
e quando verranno a chiedertelo
dirai che lo facevi
perché anche i figli dei lavoratori
hanno diritto a sfamarsi.
Perciò mettiti comodo
e aspetta,
perché anche la solitudine,
come tutte le cose preziose,
ha un costo,
e potresti non permettertela più.

Allora, amico mio,
allenati a tracciare X sulla sabbia,
fai la punta alle matite
e scalda il tè freddo.
Fatti regalare un appartamento,
finisci il vino,
fuma la sigaretta,
scalda la cena,
scopa tua moglie,
porta fuori il cane,
dì sogni d'oro a tuo figlio,
aspetta il notiziario
dopo la pubblicità,
e masturbati di nascosto
davanti la TV alle 3 del mattino.
In fondo non c'è fretta,
non c'è mai stata fretta.

Pazienta.
Pazienta.
Pazienta.
Per la Rivoluzione
c'è sempre tempo.

martedì 11 maggio 2010

Hard Discount


Dietro l'immondezzaio
fuori casa
c'è molta più Vita
di quanto ne veda ogni giorno
trascinarsi e arrancare
stanca e demotivata
sulle strade di questa città.

Penso alla signora Vita
e assomiglia alla vecchia barbona
che si piscia addosso
mentre si piega sulla schiena di gesso,
e la merda le scivola via dal culo
improvvisando guizzi briosi,
puntellando note fuggevoli,
glissando come le pare
sul terzo movimento per violino di Brahms.

Penso alla Vita,
e dietro di lei
ecco il vecchio pazzo
cazzo al vento
che le graffia i fianchi
lasciandola sanguinare,
prima di strapparle via le mutande
e infilarle il suo pezzo di carne molla
dritto
in
culo.

Se c'è da pensare alla Vita
e sono da solo
in una casa che puzza d'uovo marcio,
e sento riparlare
di statistiche cancerogene
o di nuovi patti d'alleanza Italo-Russi,
non posso non dedicare una parola
alla madre zingara
che tira su dai capelli
il suo piccolo monello
dall'immondezzaio.

“Trovato nulla oggi?”
“Trovato nulla oggi”,
e il violoncello stride su strade di bronzo,
il frigo è vuoto,
e quelli in TV non smettono mai di parlare.

Dico semplicemente:
cosa cazzo siamo diventati in questi vent'anni?
Così telegenici
che il solo guardarci allo specchio
ci irrita gli occhi.

E allora è arrivato il mio turno
di aspettare il turno
di pagare un boccia
che mi costa venti minuti di Vita
e 80 cents.

“Va bene se mi fai credito?”

E un polacco bianchiccio si fa avanti
senza pensarci troppo,
per saldare il debito prima di noi altri
che attendiamo di farci strigliare ben bene dal PIL
e di uscire con uno scontrino di riconoscimento
che ci faccia sentire onesti,
proprio come la gente onesta
di questo
Onesto
Paese
Unito.

Ma il catanese prima di me tende un braccio
e urla “CAZZO FAI??”
e il polacco si fa indietro,
dietro il catanese,
dietro di me,
gli africani,
i cingalesi,
gli zingari,
gli ubriaconi,
gli italiani perduti,
e c'è poco o nulla di vitale
in quegli occhi consumati e stanchi.

Scampato al conto
e alla storpia di mestiere
che accumula pietà all'uscita
ci sarebbe da pensare alla Vita,
alla signora Vita
svenuta
culo all'aria
dietro l'immondezzaio fuori casa.
Stappo la prima birra,
svolto l'angolo
ed è ancora lì
faccia a terra.
Sanguina dal culo
e un gatto
passando
le striscia la coda sulle cosce.

Allora ci sarebbe da pensare a lei
in quel momento,
così stappo la seconda bottiglia,
tiro un calcio al gatto,
e mi chino a raccoglierle il viso tra le mani.

“Come va signora?”

“Dopo il vecchio pazzo
ci ha pensato la polizia.
E dopo ci ha pensato
il mio avvocato.
E dopo il mio medico.
E alla fine è toccato al mio confessore.”

Restava ancora una birra nella busta,
una birra
e un altro po' di Vita da consumare.

“Stia tranquilla signora”, dissi.
“Ci penso io a lei adesso.”

Finito con la Vita
tornai a friggere uova
proprio come il giorno prima,
mentre un gatto col culo rosso
e una zampa malconcia
s'arrampicava su un muro di pietra umida,
leccandosi le palle
e mostrando le unghie alla luna.